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Abbiamo già sottolineato che il vescovo, nella visita compiuta nell’aprile 1676, nominò una commissione per l’amministrazione e direzione della nascente chiesa. Essa era formata da dodici persone laiche presiedute dal capo - priore o sindaco. Non deve fare meraviglia. La primitiva cappella del 1586 era di proprietà comunale e quindi era logico che fosse il comune a gestire i lavori che dovevano eseguirsi nel suo stabile.
Tuttavia, date le proteste del clero, vi fu aggiunto anche qualche sacerdote. I deputati di questa commissione provvidero alla nomina di un economo. Il primo titolare che abbiamo incontrato è Francesco Imperioli. Però ci furono dei ricorsi e delle lamentele. Il vescovo dovette intervenire e nominare nel 1681 un nuovo economo, nella persona del sacerdote D. Francesco De Sanctis, che ebbe anche l’approvazione della congregazione dei VV. e RR., a cui si era portata la questione. Che cosa era accaduto?
Vero o no, l’amministrazione non funzionava bene. Ecco ad esempio un ricorso sunteggiato di un certo Giambattista Giustiniani da Sora.
Alla fine del 1678 era morta in quella città la signora Laura Giustiniani. Questa sul letto di morte aveva raccomandato ai figli che facessero celebrare 300 Messe «alla Madonna SS. della Neve in Frosinone». Il figlio Giambattista venne dunque al santuario per offrire sc. 30 secondo detta intenzione. Quivi lo informarono che il denaro veniva messo nella cassetta apposita e che poi, all’apertura, sarebbero state celebrate tante Messe quante ne venivano, in base all’elemosina ordinaria per ogni Messa.
Il Giustiniani fece come gli avevano spiegato. Se non che «molti mesi sono - scrive nel ricorso - furono ricavati ottanta scudi moneta papale con pretesto di far celebrare Messe in quella S. Cappella, e se l’hanno presi i deputati e le Messe che io vi posi non si sono celebrate».
Il 5 agosto 1679 egli ritornò a Frosinone «ed addimandai - così scrive - quei sacerdoti s’erano soddisfatte tutte le ottocento Messe, tra le quali ve ne erano delle mie trecento, mi risposero che per anco non s’erano celebrate e che i deputati non ci premevano cosa alcuna».
I deputati incaricati per la celebrazione delle Messe erano l'abate parroco di S Benedetto Giuseppe Danese i sigg. Boezio Paradisi, Pompeo Ciceroni e Battisti.
A seguito di questo ricorso, la congregazione assunse le necessarie informazioni e ordinò di disporre meglio l'amministrazione. A questo episodio ne seguì un altro a ruota e così l'economo D. Francesco Imperioli fu rimpiazzato da D. Francesco De Sanctis. Se però la voce esiti lasciava a desiderare quella degli introiti veniva tenuta in regola con inesorabile rigore, anche a costo di venire ai ferri corti. Raccontiamo per tutti l'accennato secondo episodio, che oggi possiamo definire spassoso.
Il sig Giuseppe Generale Bargello di Frosinone fin dal 1678 era debitore alla chiesa della Madonna della Neve di sc. 99,30. Dopo tante insistenze inutili il deputato Francesco Imperioli ottenne un mandato di cattura contro il Bargello, che era il comandante della forza pubblica della città. Il caso somiglia un pò a quello del film «Z. L’orgia del potere» di Costa Gravas. Infatti al momento in cui l’Imperioli aveva ottenuto l’esecuzione del mandato di cattura per il Bargello, questi lo fece arrestare. Era il 31 luglio 1681. Mentre varcava la soglia del carcere, l’Imperioli chiese agli sbirri per quale motivo l’ avessero arrestato e poiché davanti al portone c’era il Bargello rispose questi: «Tu vai carcerato per memoriali dati per memorialista». A questo punto succede rapida un’altra scena. Lo Imperioli Francesco era stato seguito dal fratello sacerdote D. Pirro. Questi, che era appunto ansioso di sapere il motivo di quell’arresto quando sentì la risposta del Bargello, lo richiamò dicendogli che «avrebbe procurato di aggiustarlo mediante la sacra consulta». Al che il Bargello rispose con in- giurie e minaccia della vita.
Ma D. Pirro il 3 agosto si procurò le necessarie testimonianze giurate con atto notarile presso notaio Giuseppe Chiappini e spedì il ricorso alla congregazione dei VV. RR., chiedendo le sanzioni contro il Bargello.
Se questo episodio lo possiamo definire spassoso, dobbiamo invece affermare che è penoso quello di Caterina De Sanctis. Questa povera vedova doveva dare alla chiesa della Madonna della Neve scudi 6½ di frumento.
Non si sa perché, fu morosa. Ed ecco allora l’economo della chiesa, D. Francesco De Sanctis, fa procedere al sequestro dei beni della vedova, che portava lo stesso cognome De Sanctis.
Ci fu una lite e si chiuse con una composizione il 19 aprile 1683.
Il lettore forse vorrebbe incontrarsi con avvenimenti grandiosi. Ma allora la storia di Frosinone era intessuta di queste vicende, come del resto avveniva nel gran mondo per le questioni gallicane, gianseniste, quietiste e semiquietiste.
Non dispiaccia quindi soffermarci su qualche episodio avvenuto a Frosinone nel 1681, l’anno del duello Bargello - Imperioli.
Il 23 settembre 1681 Giuseppe Antonio Rosati e Anna Maria Ceccarelli avevano contratto solenni sponsali con atto pubblico rogato presso Carlo Agliati cancelliere della corte locale. I genitori della ragazza erano contrari per ragioni personali: «non consentono più per privati interessi, che per disparità di condizione».
La sera stessa di quel fidanzamento si presentano gli sbirri del governatore della provincia, Mons. Francesco Caraffa. Questi prendono la giovane e la conducono in casa di Pompeo Ciceroni, dove fu trattenuta fino al giorno 26. Il Rosati ricorse subito al vescovo e questi scrisse immediatamente al Vicario foraneo di Frosinone che ordinasse sotto pena di scomunica a Pompeo Ciceroni e al figlio Cesare che lasciassero libera la ragazza di sposare come voleva. I Ciceroni fecero credere che la trattenevano in attesa che arrivasse l’abito da sposa per recarsi a contrarre il matrimonio in chiesa. Se non che la sera del 26 vennero a rilevarla lo zio Gregorio Ceccarelli e il suo garzone Fortunio Lanzi. Questi, invece di condurla in chiesa, la trasferirono a Roma presso Mons. Buratti. La congregazione dei VV. RR , a cui fu portato il ricorso, il 14 novembre 1681 ordinò che si esplorasse davanti il card. Vicario la volontà della giovane e la si rispettasse .
Ai primi di luglio del 1681 il chierico coniugato Biagio Palombo percosse D. Francesco Guadagnoli, chierico anch’esso. La condizione del chiericato li poneva sotto la giurisdizione coattiva del vescovo e quindi questi inviò «gli sbirri» a Frosinone per arrestare il Palombo. Saputosi ciò dal governatore, fece ordinare, per mezzo del vicario foraneo, che uscissero per la città gli sbirri della curia locale e intimasse a quelli inviati dal vescovo di andare via, altrimenti sarebbero stati picchiati. Gli sbirri del vescovo s’impaurirono, si ritirarono a pernottare presso la chiesa della Madonna della Neve e, all’indomani mattina, presero la via del ritorno.
Ai primi del 1681 il vescovo di Veroli aveva nominato un suo vicario generale a Frosinone. Ma il fiscale della città, gli ecclesiastici e i poveri ricorsero alla congregazione romana perché venisse tolto questo nuovo ufficiale. E’ interessante conoscere le motivazioni e i precedenti di questa contestazione. Sul principio del 1668 il vescovo Angelucci aveva nominato un Vicario generale a Frosinone per l’alto numero di abitanti, che erano circa 3.000.
Ma il fiscale del luogo si oppose a questa nomina, facendo ricorso alla congregazione dei VV. e RR. Infatti questa il 10 marzo 1668 ordinò al vescovo di Veroli che ritirasse «tutte le patenti», eccetto quella di Vicario foraneo. In virtù di questo decreto anche il 30 maggio 1672 si era avuta una sentenza, presso atti not. Belli, che ordinava la remozione da Frosinone dell’ufficio di Vicario Generale. Sarebbe stato un onere inutile. Nonostante questi antecedenti, Mons. della Molara al principio del 1681 inviò un Vicario generale a Frosinone. Da ciò la reazione di cui abbiamo parlato all’inizio. La congregazione dei VV. e RR. il 17 febbraio 1681 ordinò di toglierla. Bisogna però aggiungere che il provvedimento di Mons. della Molara era differente dai casi precedenti.
Infatti si trattava di una nomina temporanea per un caso particolare e cioè per la riscossione delle imposte che le confraternite non volevano pagare. Questo episodio non solo ci fa vedere come nel ‘600 si stesse sempre sul chi va là contro le inosservanze della legge, ma anche come fosse grama la vita, fino al punto da suscitare si vaste e lunghe reazioni per non avere il peso economico di un altro ufficiale. Molte altre liti si ebbero in quell’anno. Il lettore quindi potrà immaginare quante ce ne sono state nel corso del secolo. Non il caso di insistere ancora. Ne riferiremo una che ha valore emblematico.
Il 16 maggio 1681 i cittadini di Frosinone inviano un ricorso alla nominata congregazione contro i fratelli Giacomo Antonio e Filippo De Rossi, uno cancelliere vescovile a Veroli e l’altro Vicario foraneo a Frosinone. Capi d’accusa: estorsione per sc. 500 annui, abuso di autorità per aver fatto catturare povera gente e poi fatto sborsare denaro per dare la libertà. La congregazione chiede informazioni al vescovo, frattanto il 27 giugno 1681 esamina un altro ricorso in cui si diceva che entrambi tenevano «squadre di uomini armati» e che avevano arruolato «regnicoli (del Regno di Napoli) uomini di pessima vita».
Ancora nella stessa seduta viene esaminato il ricorso di Cesare Ciceroni «gentiluomo dei principali del luogo» che chiede di intervenire contro i suddetti fratelli e di esaminare i processi intentati contro di lui e il fratello Ortensio.
Purtroppo non fini presto la questione. Ancora il 16 novembre 1685 s’incontra un ricorso dei suddetti fratelli De Rossi contro il vescovo. Essi sostenevano di avanzare del denaro da diverse persone per «rogiti et emolumenti». Il vescovo però aveva ordinato «che non siano molestati i debitori». Nel loro ricorso insinuavano anche delle mere calunnie contro le monache Benedettine di Veroli. I cattivi, per coprire i propri misfatti lanciano calunnie sugli altri. Che i nostri due spadaccini siano stati due belle pezze e dimostrato dal fatto che il procuratore fiscale, Giov. Angelo Pagliarella, promosse contro di loro un regolare processo «per molti delitti».
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
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