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"Da villa cinquecentesca a luogo di preghiera
una storia fra mito, realtà e pietà popolare"
La Chiesa appartiene all'Ordine degli Agostiniani Scalzi
La chiesa di Gesù e Maria, sita in Via del Corso, in un punto
quasi equidistante da Piazza del Popolo e la chiesa di S. Carlo, è una delle
più belle chiese del barocco romano.
Fu costruita in due riprese, ad opera degli
Agostiniani Scalzi, in un angolo di una vecchia villa cinquecentesca, già di
proprietà del Cardinale Flavio Orsini.
La villa abbracciava tutto l'isolato
oggi delimitato dalle Vie del Corso, Babuino, Gesù e Maria, S. Giacomo e aveva,
quindi, un'area di circa 4.500 mq.
Dall'atto di acquisto si evince che il
sito comprendeva anche dei fabbricati così denominati: quello di Via Babuino,
“casa grande”; i due che davano sul Corso “palazzetto e casa del cantone”.
Alla
”casa del cantone” erano attaccate, dalla parte di Via S. Giacomo (Vicolaccio),
altre quattro casette. Nel giardino vi erano due vasche con due cavalli marini
in ognuna di esse e due putti che versavano acqua, tutta l’area era attraversata
da viali, con statue di marmo di soggetto classico e diverse fontane con lo
zampillo perenne.
L'8-10-1615 fu rogato l'atto di acquisto e il 12-12-1615 vi si installava ufficialmente la prima Comunità religiosa. Il merito di questa fondazione è del Ven. P. Giacomo da S. Felice, perché la considerava adatta allo scopo.
LE ORIGINI DELLA CHIESA
Gli agostiniani compresero bene l'importanza dell'acquisto
fatto, prima di costruire la chiesa, dovevano pensare a saldare il debito contratto.
Il Definitorio generale pose una tassa di scudi 100 annui ai principali conventi,
e la rinnovò negli anni successivi. Dalla tassazione dei conventi si ricavarono
2.425 scudi mentre dalla vendita del convento di S. Paolo della Regola ricavarono
4.800 scudi.
Solo dopo 18 anni venne avviata la fase progettuale affidata all’Architetto Carlo Buzio per dedicarla a S. Antonio Abate.
Il 6-7-1629 il capitolo conventuale
ebbe un ripensamento strutturale molto indicativo: per evitare liti con la Chiesa
antistante di S. Giacomo, si decise di costruire una chiesa meno imponente con
solo la cappella dell'altare maggiore e quattro cappelle laterali, invece delle
sei previste e così, infatti, fu fatto.
L'anno seguente, sempre per evitare
liti con gli Eremiti di S. Antonio, si decise di cambiare il titolo alla Chiesa
e dedicarla alla Madonna della Salute.
COSTRUZIONE DELLA PRIMA PARTE
La prima pietra della chiesa, venne posata il 5-4-1633. Era
Priore del convento il Padre Valeriano di S. Agostino. A compiere questa cerimonia
fu invitato il Cardinale Scipione Borghese, nipote del Papa Paolo V.
La lavorazione
della prima pietra costò scudi 4, e tutta la cerimonia scudi 8,60. Così nel
registro di amministrazione del tempo.
I lavori durarono circa tre anni e curiosamente
apprendiamo, dai libri mastri che i religiosi, per acquistare i materiali, vendettero
diversi utensili e perfino il cavallo.
Anche le offerte non coprirono le spese,
e vennero autorizzati dal Papa a celebrare N. 1000 Sante Messe straordinarie.
Sul finire del 1635 questo primo e più importante stralcio di lavori era finito. Ma dovettero attendere circa 35 anni prima di iniziare i lavori per completare interamente l’opera.
LE DECORAZIONI DELLA CHIESA DEL BOLOGNETTI E DI ALTRI ARTISTI
I religiosi, dopo la consacrazione, concepirono il desiderio di abbellire il sacro edificio, per la concomitanza per la celebrazione dell'Anno Santo in corso. Ma non avendo le risorse, utilizzarono il materiale che era servito per costruire un arco trionfale in legno e tela eretto per l’elezione del Papa Clemente X.
Forse per caso, forse per miracolo, Mons. Giorgio Bolognetti
ebbe occasione di visitare la chiesa e colpito all’iniziativa dei religiosi
e dalla loro povertà si offrì di abbellire la chiesa rimettendo a nuovo tutta
la Cappella, rivestendola ed adornandola di marmi finissimi dietro diritto di
patronato.
I lavori furono magnificamente ultimati con il contributo di altri
artisti e valenti artigiani, che sapientemente hanno trasmesso alle generazioni
successive un magnifico tempio.
Nel quartiere gianicolense, dalla circonvallazione omonima
a Via Caterina Fieschi, s'incontra una breve via intitolata a Giorgio Bolognetti.
Nella didascalia si legge: «Grande Benefattore dell'Ospedale della Consolazione» ma l'archivista della Chiesa di Gesù e Maria ebbe a scrivere sul «Registro
dei sepolti della Chiesa» accanto al nome del venerando Prelato: «...le sue
ossa umiliate... non sentono la morte per la fama di cui egli vive di generazione
in generazione, giacché la sua morte è stata preziosa agli occhi di Dio e la
sua vita, ricca di virtù e di nobili esempi di pietà, splende radiosa anche
agli occhi degli uomini»..
COSTRUZIONE DELLA NUOVA ALA DEL CONVENTO
Ora che la chiesa era stata portata a termine, si costruì un convento più spazioso e più accogliente. Venne edificata di sana pianta tutta l'ala prospiciente Via Gesù e Maria, demolirono una serie di vani e vi costruirono l'infermeria con farmacia, cappella, cucina, ecc., sistemarono meglio l'ex palazzo Orsini e dopo il terremoto del 1703, completarono i lavori fino a Via S. Giacomo su progettazione di Carlo Rainaldi.
IL QUADRO DELLA MADONNA DEL DIVINO AIUTO
Nella chiesa viene venerato il quadro della Madonna del Divino Aiuto. L'originale di Luca Cranach, centro di culto è in Baviera dal '600.
Il titolo tedesco, dato dal popolo, è Maria Hilf, che fu tradotto,
in Italia, per Maria Ausiliatrice ed anche Madonna dell'Aiuto o del Divino Aiuto.
Questo quadro fu donato a un Padre Agostiniano Scalzo di Germania, dimorante
a Gesù e Maria, da un pellegrino tedesco, venuto a Roma dopo la liberazione
di Vienna dall'assedio dei Turchi.
Verso la fine del sec. XVII il quadro fu
esposto nella parete sinistra della cappella di S. Anna.
Fin dall'inizio si
cominciò a celebrare la festa del Nome di Maria da parte della Confraternita
di Gesù e Maria.
Dai registri contabili del 1692, troviamo tutta una serie
di introiti conseguenti alle celebrazioni ed alle feste in onore della Madonna.
In un inventario del 1754, è detto che aveva «molti voti d'argento, una quantità
di “Agnus vestiti” e voti dipinti su tavola e tela, braccioli di ferro con lampade
d'argento, candelieri e vasi per fiori di legno collocati su una mensola ».
E avanti a questa mensola di legno era scritto a caratteri d'oro: « Auxilium
christianorum, ora prò nobis! » .
Nel 1805 Papa Pio VII erigeva l'altare in privilegiato perpetuo e di questo fatto è stata tramandata memoria nella lapide marmorea, murata nella parete sinistra della cappella. Leone XIII nel 1882 accordò le indulgenze speciali per tutti gli ascritti alla Pia Unione. Celebrazioni solenni in suo onore ancora oggi si svolgono nel mese di Maggio e in occasione della sua festa, il Nome di Maria, in settembre.
SOPPRESSIONE NAPOLEONICA REPUBBLICA ROMANA
Nel 1810 venne introdotta la legge di soppressione. Il convento fu èvacuato dai religiosi. Gli stabili che davano sulla Via del Corso furono acquistati dal Barone Pier Antonio Cavalchini Garofali da Tortona, mentre i fabbricati in Via del Babuino, furono venduti all'asta pubblica.
Questi beni non tornarono più al convento, unitamente a tante opere d’arte, arredi sacri, argenti ed ori. Venne restituito solo il vecchio locale della compagnia, in Via del Babuino, nel 1838.
Il convento venne adibito a Lazzaretto per i colerosi, altre
porzioni vennero requisite per ospitare i gendarmi pontifici e ad essi si avvicendarono i soldati
della Repubblica Romana e poi le truppe francesi che lasciarono il convento,
solo per la partenza per la guerra di Crimea.
Terminata la guerra rioccuparono successivamente le aree conventuali.
Possiamo solo immaginare tutti i furti e i danni, morali e materiali che la comunità dei religiosi dovette subire.
Solo oggi, visitando i musei delle più grandi città europee, maggiormente quelle francesi,
possiamo capire, per sommi capi, quante opere dell’ingegno prodotte dagli artisti
italiani siano state depredate e portate via.
Interi padiglioni, interi piani, sono ricolmi di quadri e statue
depredate lucidamente sotto il periodo napoleonico.
Possiamo capire, per sommi capi, perché le opere normalmente esposte al pubblico, sono poche rispetto a quelle conservate nei depositi. Per non parlare delle ruberie delle opere che sono finite per adornare le case e i palazzi dei privati, di cui mai sarà possibile fare un reale censimento.