Il secolo XIII vide lo zenit della casa Conti di Segni con i suoi tre papi: Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV.
Fu una gloria ben differente da quella che aveva conseguita la casa dei Conti di Tuscolo nei secoli X e XI con i suoi sette papi. Questi emersero in un contesto di lotte ambiziose e particolaristiche tra famiglie, invece quelli del secolo XIII nella lotta tra il papato e l’impero, con l’intento di dare una unità politica all’Europa.
Dove ci sono fronti bellici non possono mancare divisioni e scontri di uomini. Così sempre e dovunque; così nella Campagna romana del ‘200.
Mentre i pontefici dei Conti di Segni lottavano su un fronte, i nipoti di Gregorio IX, i conti di Anagni, al dire del Falco, furono partigiani prima di Manfredi e poi degli Aragonesi. Dunque su un fronte opposto.
Frosinone era demanio speciale della Chiesa romana. La maggior parte invece delle città e paesi di Campagna erano governate da baroni che potevano sollevarsi contro il loro sovrano. Frosinone aveva una amministrazione unitaria di diversi condomini fedeli al papa con al fianco una curia ecclesiastica. Non poteva quindi che essere dalla parte del pontefice.
Su questo sfondo di lotte si collocano le aggressioni al territorio di Frosinone compiute, prima da Mattia di Anagni e cugini di Supino, poi dai figli Adinolfo e Nicola.
"Casa Conti di Segni e i suoi papi
Il Mattia nato verso il 1210 fu uno dei più ricchi e potenti baroni di Campagna, ma bellicoso e di carattere violentissimo. Col suo modo di agire dà l’impressione che sognasse di divenire un secondo Ezzelino da Romano morto alcuni anni prima (1259). Il suo nome vive ancora nella contrada omonima di Colle Mattia, a 3 Km. da Colonna e a 26 da Roma.
Egli dunque nel 1263, guadagnati alla sua causa i parenti Tommaso e Balduino da Supino, insieme a questi ed altri raccogliticci di Anagni e Ferentino, invase il territorio di Frosinone.
Ivi commise ogni sorta di orrori, anzi per tradurre gli atti ufficiali «celebrò baccanali di crudeltà in tutto il contado sino al ponte, incendiò le mole e devastò orgiasticamente ogni cosa con diversi generi di distruzione».
Il rettore di Campagna, Card. Giovanni dei SS. Cosma e Damiano, per disarmare tanta efferatezza, colpì di scomunica Mattia e lo condannò a pagare mille marche d’argento; inoltre condannò i suoi dodici compagni a pagare cento marche ciascuno.
Mattia appellò al Papa. Ma questi, esaminata la pratica, il 13 agosto 1263 scrisse al vescovo di Anagni intimandogli di pubblicare la scomunica inflitta dal rettore, nonostante l’interposto ricorso. La vertenza continuò, ma, da una lettera del 27 novembre 1263 di Urbano IV al vescovo di Anagni, si rileva che la scomunica non fu tolta, anzi fu estesa ai suoi parenti mentre lui fu obbligato a pagare, come cauzione, mille libbre di denaro del senato.
Messo anche al bando, fu poi assolto nel 1265. Il lupo però cambia il pelo e non il vizio. Ecco allora che l’anno appresso lo vediamo tiranneggiare nel modo più bizzarro e crudele gli abitanti di Porciano che si era fatto dare in feudo dalla Chiesa. E’ dello stesso anno il danno da lui arrecato al vescovado di Segni, risarcito con l’accordo da ambo le parti del 18 giugno 1266. al quale furono presenti il sacerdote Giovanni da Frosinone in qualità di teste e il sindaco Oddone, quale garante.
Frattanto il suo odio per i frusinati non si era spento. Riprese la guerra, che si protrasse per nove anni. Finalmente in uno scontro con essi rimase ucciso sul campo. Forse era l’anno 1277.
I figli Adinolfo e Nicola continuarono la lotta per vendicare il loro padre. Ma finalmente il 21 giugno 1279 fu stipulato con grande solennità un trattato di pace tra loro e i frusinati.
Purtroppo però anche questa volta era rimasto del fuoco sotto la cenere. Nel settembre 1283 Adinolfo che aveva la sua quinta colonna in Frosinone, tra cui Giovanni Scotti, fece da questi trucidare Pandolfo custode del castello, e Giovanni Capucio o Capocci, sindaco del comune.
Egli si precipitò da Anagni e venne ad impadronirsi del paese «con una grande moltitudine di cavalieri e fanti». Appena vi si insediò fece demolire molte case e mandare in esilio tanta gente, come faranno i Neri contro i Bianchi a Firenze, dopo la loro vittoria del 1300.
Il colpo fulmineo di Adinolfo richiama alla mente la recente blitz - krieg di Hitler. Egli aveva colto il momento in cui il rettore della provincia di Campagna, Andrea Spiliati, si era allontanato da Frosinone per andare a trattare alcuni negozi della Chiesa a Terracina.
Quando questi ritornò, gli fu impedito di rientrare a Frosinone.
Papa Martino IV intervenne con le buone maniere e anche con scomuniche ma, appena constatò che queste misure erano inefficaci, in data 23 ottobre 1283 inviò contro Adinolfo il Capitano Generale Giovanni di Epa, il quale rintuzzò la tracotanza del figlio di Mattia e lo cacciò da Frosinone.
Così si concluse la storia delle aggressioni anagnine ai danni di Frosinone. Tuttavia l’ultima causa pendente terminò il 3 aprile 1295 allorché Adinolfo e Nicola rilasciarono quietanza al Camerlengo personale di Bonifacio VIII per aver riavuto il denaro sborsato dal padre nella causa tendente alla propria assoluzione dai danni recati ai frusinati. Il rimborso fu di fiorini 800 2/3. Il camerlengo era
Teodorico.
Dopo questa dolorosa vicenda i frusinati vollero esprimere la loro riconoscenza al Papa, compiendo un atto di particolare sottomissione alla Santa Sede.
"ATTO DI PIENA SUDDITANZA AL PAPA"
Il 10 marzo 1281 i romani «trasferirono a vita il regime del senato di Roma, del suo territorio e distretto al pontefice»
I frusinati a conclusione della lotta per la difesa della loro città compirono qualcosa di simile. Non mutarono già il sistema elettivo dei loro amministratori, ma vollero esprimere la loro particolare devozione alla sede di Pietro, quantunque ne fossero pienamente dipendenti.
Tale atto fu eseguito in due momenti. Il primo ebbe luogo a Frosinone nella piazza antistante la chiesa di S. Benedetto, il secondo al palazzo pontificio di Orvieto. Eccone in breve la narrazione con le stesse parole degli atti ufficiali.
Il 7 novembre 1283 «si riunì tutto il popolo dell’università (di tutte le classi) insieme agli uomini, sia militi e nobili, che fanti della comunità del Castello di Frosinone, nella piazza di S. Benedetto dello stesso luogo, come è solito riunirsi, al suono della campana e per mezzo del pubblico banditore. Alla presenza del Maestro Andrea Spiliati canonico di Cambrai, cappellano del papa, rettore di Campagna e Marittima, podestà anche di Frosinone (dopo l’uccisione di Giovanni Capucio o Capocci) alla presenza del signor Buongarzone da Ripatransone, giudice generale e vicario dello stesso rettore; dinanzi a Riccardo notaio pubblico e al Maestro Pace Monaldi da Camerino notaio del rettore di Campagna e Marittima, dinanzi ai Testi D. Angelo, arciprete di Frosinone, Gerardo, damigello del rettore della provincia, D. Nicola rettore della cappella di S. Nicola, D. Nicola del signor Giovanni, Sergio Gottifredi, il Maestro Orlando di Frosinone e molti altri.
«Il popolo e l’Università, i militi sia nobili che fanti dello stesso castello e territorio di Frosinone, unanimemente e concordemente, senza alcun voto contrario... fecero, crearono ed elessero il signor Giovanni chierico della Chiesa di S. Benedetto e il Maestro Giovanni Paneri di Frosinone, perché a nome loro e di tutta la Comunità, quali veri legittimi sindaci, procuratori attori e nunzi speciali del popolo, si rechino ai piedi del santissimo e pio padre signor Martino, sommo pontefice e nominatamente ed espressamente pongano e sottomettano, irrevocabilmente e in perpetuo, liberamente e puramente sotto speciale obbedienza il castello suddetto di Frosinone, i suoi abitanti, sia nobili che popolani, sia maschi che femmine sia grandi che piccoli.. »
Il lettore perdoni la lunga citazione. Essa in compenso offre diversi elementi che ci fanno meglio conoscere la struttura e il funzionamento del comune di Frosinone nel secolo XIII.
L’atto notarile, che è molto lungo, continua ancora sottolineando che i frusinati compirono quel gesto, nonostante si sapesse da tutti che erano sudditi del papa, perché volevano esprimere una speciale
e incondizionata sottomissione alla Chiesa romana e alla Sede Apostolica.
Questa deliberazione popolare andò poi in effetto con altro atto notarile, rogato dinanzi al Papa, quattordici cardinali e sette testimoni ufficiali, il 29 gennaio 1284 a Orvieto, dove allora risiedeva il pontefice.
"LIBERTA' COMUNALI DEL 16-6-1284"
L’atto di particolare devozione dei frusinati fu dal Papa ripagato con la concessione di alcune libertà nelle elezioni degli ufficiali comunali, che poi vediamo confermate per tutti i comuni da Bonifacio VIII con la bolla «Romana Mater» del 28 settembre 1295.
Abbiamo già accennato che sotto Innocenzo III, sull’esempio di Enrico IV che aveva inviato vicari imperiali in ogni città, si era accentuato il controllo della Chiesa nell’amministrazione locale. Avevamo anche sottolineato precedentemente l’armonia tra i condomini di Frosinone e la curia ecclesiastica. Si trattava in sostanza di un regime esercitato dall’alto, ma con tali accorgimenti amministrativi, da dare a tutti la possibilità di esprimersi.
Nella citata deliberazione presa da tutta la popolazione in piazza S. Benedetto, oggi piazza della Libertà, è sottolineato l’uso di tenere il parlamento: «come è stato solito praticarsi».
Il lettore avrà anche notato che viene prima nominato il popolo e poi i condomini. Dunque a Frosinone vi era regime comunale. Però non era pienamente tale. Gli ufficiali comunali o in un modo o nell’altro venivano nominati di autorità.
Martino IV volle premiare i frusinati per l’atto suddetto di speciale devozione.
Egli si esprime così: «D’antica data voi avete dimostrato amore di genuina devozione e purezza di fede indiscussa a noi e alla Chiesa romana e poiché confidiamo che l’avrete anche in futuro, giustamente siamo indotti a venire incontro a voi in tutte le istanze che tornano a vostro bene... pertanto concediamo che vi possiate eleggere i Conestabili, e cioè uno dai cavalieri e quattro dal popolo dello stesso castello di Frosinone, da stare sottomessi ai nostri rettori e ufficiali... inoltre che possiate eleggere i cavalieri e i fanti sia a servizio della Chiesa e sia a servizio del paese, scegliere i soggetti che compiano le opere pubbliche di esso; che possiate eleggere quattro consiglieri tra i cavalieri e quattro del popolo, che a loro volta eleggano il camerlengo (il tesoriere) del paese, i guardiani per la custodia delle selve, dei campi, delle vigne e di tutti i beni della comunità, i viarii per la custodia e la manutenzione delle vie... a condizione che i candidati appartengano e stiano nello stesso paese (Castrum) e che non abbiano ingerenza per quel che riguarda il mero e il misto impero, la giurisdizione, la signoria e il regime di esso... e che siano sottomessi ai rettori e ufficiali inviati dalla S. Sede...
Inoltre vi concediamo la metà degli incassi provenienti dalle multe e condanne pecuniarie inflitte sia dal rettore della provincia e i suoi ufficiali e sia dal rettore dello stesso paese agli abitanti di esso», mentre degli incassi provenienti dalle pene inflitte agli estranei, per danni recati al territorio frusinate, metà sarebbe andata alla Chiesa romana e l’altra metà al paese, con l’obbligo che tre quarti di essa fossero impiegati per utilità pubblica e un quarto andasse ai nobili.
Non si può negare che siamo di fronte a una strutturazione piramidale. Naturalmente bisogna ricordare che ci troviamo in quel secolo XIII, che con le Costituzioni di Melfi del 1231 promulgate da Federico II, aveva visto trionfare il controllo del potere centrale.
Tuttavia è opportuno sottolineare che nello stato pontificio tale potere centrale aveva un carattere più nominale che reale. Basti per tutte l’autorità in materia del Machiavelli «Costoro solo (i principi ecclesiastici) hanno stati e non li difendono; sudditi e non li governano; e li stati per essere indifesi, non sono loro tolti; e li sudditi, per non essere governati, non se ne curano, né pensano, nè
possono alienarsi da loro. Solo adunque questi principati sono sicuri e felici. Ma secondo quelli retti da cagione superiore alla quale mente umana non aggiunge, lascierò al parlarne».
L’atto di concessione ai frusinati dei sopraddetti diritti elettivi è del 16 giugno 1284. Esso è importante perché ci offre la chiave per intendere gran parte degli Statuti di Frosinone, di cui parleremo in seguito e che hanno la loro prima base in queste concessioni.
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
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