Il sacrificio di Nicola Ricciotti e compagni doveva far germogliare una nuova generazione di apostoli dell’unita italiana.
Per il momento però era come un chicco di grano sotto un’umida zolla. I tempi non erano ancora maturi.
L'ideale era solo patrimonio di pochi. Le masse erano attaccate al Papa e temevano che nei movimenti risorgimentali si mirasse ad abbattere il suo primato nella Chiesa. Una prova di fatto l’abbiamo nell’entusiasmo e devozione con cui le città della Ciociaria avevano accolto Gregorio XVI un anno prima del martirio del nostro eroico Ricciotti.
Ecco in breve la narrazione dello storico evento Il 1° maggio 1843 il suddetto pontefice lasciò il palazzo vaticano e si diresse verso Anagni. Sulla Labicana, all’altezza di Colonna, era stato preparato un arco trionfale.
Lì Emidio Renazzi, nato a Frosinone dal romano cav. Paolo, quando questi era segretario della Delegazione, porse al sovrano l’omaggio di tutta la Ciociaria, umiliando un sonetto composto e stampato per l’occasione.
Il 3 maggio il Pontefice lasciò Anagni e venne a Frosinone, giungendovi dopo il mezzogiorno. Passato il ponte della Fontana salì in città per la via «fiancheggiata lateralmente da spessi candelabri da cui pendevano festoni di mirto intrecciati con fiori», mentre le campane e la banda musicale suonavano, l’artiglieria sparava e i frusinati, con le popolazioni accorse dai vicini paesi, acclamavano.
Il gonfaloniere dell’anno, Leonardo Grappelli, offri le chiavi della città sotto un maestoso arco trionfale «di architettura romana adorno con otto colonne, eretto a spese della Provincia». L’arco era sormontato da una colossale statua rappresentante la religione e fiancheggiata da due geni che raffiguravano la fama.
Vi era anche un’iscrizione:
In adventum optatissimum
munificentissimi Principis
Gregorii XVI P.O.M.
Hernici Volscique
an. MDCCCXLIII».
«Uno stuolo di giovani... avendo chiesto ed ottenuto il permesso di staccare i cavalli dalla pontificia carrozza, questa tirò a mano per l’ardua salita fino l’arco suddetto sino dentro la città, ove le finestre erano tutte decorate di drappi».
Seguirono funzioni alla chiesa di S. Maria e omaggi al Palazzo della Delegazione da parte della «deputazione di Benevento, di Pontecorvo e dei circonvicini comuni». La magistratura di Frosinone offrì «un astuccio con quattro grandi medaglie, due d’oro e due d’argento», con l’immagine del Pontefice da un lato e la leggenda dall’altro, opera del cav. Girometti.
La leggenda incisa sulla medaglia era: Ob adventum Principis optimi votorum compotes a. MDCCCXLIII».
E cioè: I frusinati appagati nei loro desideri per la venuta dell'ottimo sovrano».
L’offerta delle medaglie fu fatta unitamente ad un ode saffica del poeta Giambattista Tagnani. Un altro sonetto fu distribuito dal «sotto-ufficiale dei bersaglieri Benedetto Renzoni».
All’indomani il pontefice si recò in Alatri e, al ritorno, nei pressi della Madonna della Neve, passò sotto un altro arco trionfale allestito dalla famiglia De Sanctis e con iscrizione del p. Marco Morelli ex generale dei Somaschi. Il figlio poi del De Sanctis, Luigi, «volle distribuire nello stesso giorno generose elargizioni a povere donzelle orfane di ambo i genitori nelle tre parrocchie della città». Rientrato a Frosinone, il Papa visitò di pomeriggio la chiesa di S. Benedetto «e il monastero delle Oblate di Gesù e Maria... alle quali fece abbondante elargizione, dopo essere stato ricevuto dalla superiora suor Maria Teresa di S. Pietro della romana famiglia Spinelli, fondatrice del Monastero».
Gregorio XVI ripartì per Terracina il 5 mattina, dopo aver distribuito elemosine ai poveri, doti alle ragazze orfane, ridotta la pena di sei mesi ai carcerati e decorato il gonfaloniere Grappelli dell’ordine Equestre di S. Gregorio.
All’Archivio di Stato della nostra città si conserva la documentazione di questa visita pontificia. Tra l’altro, anche le note di spese. Esse furono di scudi 1.916,22, così ripartite:
1° Dal deputato Francesco Guglielmi, comprese le medaglie coniate per la circostanza scudi 1.146,95
2° Da Michele De Matthaeis e Paolo Sodani per addobbi scudi 250,60 e 2/1
3° Da Francesco Renna, Ignazio Pesci e Andrea Simeoni, al muratore per il tetto di S. Benedetto scudi 316,59 e 2/1
4° Da Battista Balzorani per alloggio militari scudi 58,74
5° Mance alla corte pontificia scudi 113,32
6° Al corpo bandistico «ricognizione» scudi 30
Totale scudi 1.916,22
"REPUBBLICA ROMANA DEL 1849"
Bisogna dire che l’olocausto consumato per l’unità della patria da Nicola Ricciotti produsse molti frutti, principalmente a Frosinone sua città natia.
Infatti troviamo nella storia della Repubblica Romana del 1849 il nome di molti frusinati.
In primo luogo dobbiamo ricordare Ricciotti Vincenzo, il figlio del suddetto martire. Egli «Fu tenente nel 1849 e combatté sempre ed eroicamente a fianco di Garibaldi, che ebbe per lui particolari cure e grande stima».
Non bisogna dimenticare che Garibaldi, per ricordare sempre il nostro Nicola, aveva dato il nome Ricciotti a un suo figlio. Quindi si può ben immaginare quanto amore portasse a Vincenzo.
In secondo luogo è da ricordare Giampietro Guglielmi. Questi «fu energico ed attivissimo organizzatore del Battaglione Campano o Frosinonese e divenne Deputato alla Costituente Romana nel 1849. Dopo l’insediamento di Pio IX in Vaticano, se ne andò in volontario esilio giurando di non rivedere Roma se non repubblicana. Fermo nella sua idea morì a Firenze nel 1881.
Terzo patriota da ricordare è Francesco Ricci, colonnello della guardia civica nel 1848 - 1849, grande fautore della Repubblica liberale.
Un quarto patriota del 1849 è Carlo Guglielmi. Egli «organizzò a Frosinone un corpo di volontari per la liberazione dell’Alta Italia nel 1848.
Fu aiutante di campo di Garibaldi e combatté valorosamente al suo fianco. Il 29 giugno 1849 prese viva parte alla battaglia del Gianicolo per la difesa di Roma e morì, in seguito alle gravi ferite riportate sul capo, il 30 luglio 1849, mentre Francesco Petraia, anch’egli frusinate, vi morì in combattimento.
Ma se i nominati patrioti meritano un posto distinto, non bisogna per questo dimenticare quelli che si sono dimostrati tali al posto del loro lavoro. Rileggiamo dunque qualche pagina di cronaca della Repubblica Romana. Ricordiamo anzitutto che essa fu proclamata il 9 febbraio 1849 sotto il governo presieduto dal card. Muzzarelli che poi, come dicevano allora i romani, «si sprelatò». Il primo numero del decreto col quale fu data vita alla Repubblica suonava così: «Il Papa è decaduto di fatto e di diritto dal governo degli Stati romani».
Tra i votanti a favore c’erano i deputati frusinati alla Costituente: Filippo Turriziani, Luigi Salvatori, Carlo Kambo e il già nominato Giampietro Guglielmi.
Proclamata la Repubblica, fu inviato a Frosinone, in qualità di «cittadino Presidente» per il governo della città e provincia, Carlo Mayr che poi, alla venuta dei borbonici, passò a Ferrara, dove ora c’è una via a lui dedicata.
Egli, a norma della circolare del ministro dell’Interno, Saffi, richiese il giuramento di fedeltà alla Repubblica da tutti gli impiegati dell’ex Delegazione Apostolica, già vacante per lo spontaneo allontanamento del delegato Mons. Pasquale Badia, che ritornerà alla caduta della Repubblica. Tutti quelli che si trovavano a Frosinone prestarono il loro giuramento il 24 febbraio 1849. I pochi che erano assenti lo emisero ai primi di marzo.
Come può ben rilevarsi, manca qualche firma. Alcuni non prestarono il giuramento. Di questi si conosce solo il nome di Renna Antonio e Scifelli Onorato, supplenti del Tribunale e Raimondo Lalli dell’assessorato Legale. Il quadro è sufficiente per farci concludere che la Frosinone ufficiale aderì alla Repubblica Romana.
Altri episodi da ricordare sono la rimozione degli stemmi pontifici dagli edifici pubblici, disposta con circolare del ministero dell’Interno il 28 aprile 1849 e la precedente concessione del 10 aprile, con la quale si autorizzava a tenerli sul prospetto delle Chiese, in considerazione che il Papa è «Vescovo supremo e Capo della Chiesa cattolica».
La Repubblica Romana finì il 3 luglio dello stesso anno, quando le truppe francesi del generale Oudinot entrarono in Roma.
Frosinone però precedentemente era stata spettatrice di altri episodi. Il 27 aprile, il giorno in cui Garibaldi giungeva a Roma, le truppe di Ferdinando II di Napoli erano entrate nello Stato Pontificio per marciare contro i soldati della Repubblica. Ne seguì un flusso e riflusso di armati. In un primo momento i repubblicani dovettero sloggiare, ma in seguito, dopo le vittorie di Palestrina (9 maggio) e di Velletri (19 maggio), ritornarono all’inseguimento dei borbonici.
Alla partenza di questi venne a Frosinone, in veste di Commissario e Preside, Pietro Sterbini che annullò le notificazioni borboniche. E' in questa occasione che il 23 maggio Garibaldi entra vittorioso a Frosinone e lancia il «proclama ai napolitani». Il 6 giugno però ritornarono i borbonici, per allontanarsi col ripristino del governo pontificio.
Sul passaggio di Garibaldi a Frosinone vogliamo riferire un episodio che documenta la nota intolleranza dell’eroe per le violenze.
Alcuni garibaldini avevano forzato la porta del monastero delle Serve di Gesù e Maria, sito in via s. Agostino, oggi via Cavour. Saputa la cosa, Garibaldi mandò tre ufficiali e un maggiorente della città per informarsi sull’entità del danno o affronto arrecato «poiché avrebbe voluto dare un castigo ai delinquenti per esempio agli altri». Fortunatamente la superiora, suor Maria Teresa Spinelli, rispose che non era stato arrecato alcun danno, perché i soldati avevano solo tentato di forzare il portone per sbaglio.
L’episodio fa onore al popolare e cavalleresco eroe, specie se si tiene conto del suo spirito massonico e anticlericale.
Al crollo della Repubblica Romana segue il ripristino del governo pontificio, e, col «Motu Proprio» del 12 settembre, il nuovo ordinamento dello Stato.
Ma ormai si faceva sempre più strada l’idea che il potere temporale del Papa non era essenziale per il governo spirituale della Chiesa e quindi le fila dei patrioti s’ingrossavano sempre più. Ciò sarà manifesto anche a Frosinone, sia nel 1867 quando Giovanni Nicotera, venuto da Napoli, il 27 ottobre vi proclamerà un governo provvisorio, in sincronia con l’insurrezione voluta da Garibaldi, e sia soprattutto nella fase finale della presa di Roma, di cui parleremo a suo luogo.
Tuttavia è anche da sottolineare che la massa del popolo restava fortemente e devotamente attaccata al Papa. Ciò è dimostrato dagli attestati di affetto che gli tributò quando egli venne nella nostra città e in occasione del suo 50° di sacerdozio, di cui parleremo brevemente in seguito.
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
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