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TERRA CIOCIARA: STORIA - URBANISTICA - FOLKLORE - AMBIENTE


NEL SECOLO DEL RISORGIMENTO

"LUIGI ANGELONI"

"LA RESTAURAZIONE POST-NAPOLEONICA"

"LE NUOVE STRUTTURE AMMINISTRATIVE"

"LA NUOVA PIANTA COMUNALE"

"LUIGI ANGELONI"

Il 14 aprile 1814 Napoleone abdicò alla corona imperiale. Lo stesso anno vide la luce un libro, che fu scritto dal frusinate Luigi Angeloni: «Sopra l’ordinamento che aver dovrebbono i governi d’Italia». Degli argomenti svolti nel volume B. Boselli ne fece una silloge e l'inviò alla Conferenza degli alleati, che si aprì nel novembre dello stesso anno.
La sintesi compilata dal Boselli ebbe per titolo «Nota di un italiano agli alti principi alleati. 1814».

Immagine di Luigi AngeloniPer questo fatto ci sembra di poter affermare che il nostro Angeloni meriti il titolo di primo leader ufficiale dell’unità, sia pure federativa dell’indipendenza d’Italia. E’ vero che le idee risorgimentali risalgono alla prima venuta in Italia del Bonaparte (1796), quando questi creò la prima repubblica italiana, che fu chiamata prima cispadana e poi cisalpina. Però il crisma di un ingresso ufficiale così solenne nel maggior consesso di Europa lo ebbero le idee dell’Angeloni. Prima dunque di ogni altra cosa, nella storia post-napoleonica dobbiamo parlare di questo illustre figlio di Frosinone.

Il nostro Luigi nacque nella nostra città il 9 novembre 1759 da Giovanni Angeloni, mercante originario di Villadadda e da Lucrezia Contini. Fece i suoi primi studi nella scuola comunale che allora era diretta da un sacerdote. Quando egli aveva 7 anni, suo padre fu colpito da paralisi, quindi dovette aiutare la madre nella gestione della bottega. Sotto la guida di bravi maestri continuò a leggere, a studiare «e imparò il greco abbastanza per lasciare alcuni saggi di traduzione».
Non s’interessò di politica che all’età di circa 40 anni, quando, stabilita la Repubblica Romana del 1798, i concittadini lo inviarono a Roma per portare l’adesione di Frosinone.
Fu incluso fra i tribuni del dipartimento del Circeo e, in tale veste, si adoperò, senza riuscirvi, per mitigare la repressione francese dell’insurrezione frusinate, ricordata a suo luogo. Il 5 gennaio 1799 portò la questione all’attenzione del Tribunato e il 15 maggio dello stesso anno divenne presidente del consesso, dopo esserne stato segretario.
Crollata la Repubblica Romana, riparò prima in Corsica e poi a Parigi.
L’8 novembre 1799 era intervenuto all’assemblea degli esuli romani, tenuta a Marsiglia. Nel 1800 fu arrestato «fra i supposti complici della così detta cospirazione di Arena e Ceracchi, fabbricata in realtà dagli agenti provocatori del Fouché».

"bandiera Repubblica Cispadana e Repubblica Cisalpina"

Durante tutto il regime napoleonico visse sotto stretta vigilanza della polizia e in contatto con i cospiratori, perché contrario all’involuzione consolare del regime repubblicano. Intorno al 1807-1808 incominciò ad avere un ruolo di primo piano nell’organizzazione dei Filadelfi, tenendo relazioni con i maggiori esponenti dell’opposizione antinapoleonica.
Quando Napoleone designò Fouché a governatore di Roma, a lui fu affidato un incarico importante nell’amministrazione della città, ma egli non accettò per non servire il monarca assolutista. Nel 1812 fu arrestato nuovamente, in occasione della congiura antinapoleonica del gen. Malet, a cui non fu estraneo, e fu un miracolo se ne poté uscire salvo.

Alla caduta del Bonaparte divenne «il centro di riferimento organizzativo, la guida morale, il Nestore a Parigi di tutto il movimento liberale italiano». Nel 1814, anno in cui dette alle stampe il volume ricordato all’inizio, svolse «in persona propria e attraverso l’organizzazione settaria degli Adelfi un’attività vertiginosa... ebbe contatti continui con i rappresentanti delle grandi potenze nella capitale francese» e iniziò il Confalonieri all’organizzazione degli Adelfi.

Collaborò efficacemente per il recupero degli archivi e opere d’arte che Napoleone aveva asportato dall’Italia, sfruttando le sue relazioni con gli alleati. Pio VII, per gratitudine, gli offrì una pensione a vita, ma egli rifiutò, accettando una tabaccheria d’oro.

Nel volume citato «Sopra l'ordinamento...», aveva sostenuto l’unità confederale italiana sul tipo di quella svizzera.

«La formula confederale, a sua volta, doveva assicurare l’indipendenza dall’Austria e dalla Francia e salvaguardare le esigenze del papato: Roma infatti avrebbe dovuto essere sede ad un’ora e dei rettori del proprio stato e del temporaneo rettor supremo del centrale comune governo».

Alla chiusura del Congresso di Vienna, espresse la sua delusione per le mancate conclusioni che si attendeva e pubblicò un altro volume: «Dell’Italia uscente il settembre 1818. Ragionamenti IV... dedicati all’Italica Nazione. Parigi 1818», dove ripropose con convinzione la tesi della Confederazione, come è felicemente attuata negli Stati Uniti d’America e nella vicina Svizzera.

(Nota dello stesso Barbagallo: Quest’opera influenzò molto Carlo Alberto, che fu il primo re di casa Savoia di idee liberali. Ecco come ne parla lo Spada:
«Lo stesso Cibrario suo amico (di Carlo Alberto) e confidente che ne scrisse la vita, ci racconta essere stata la lettura degli opuscoli del frusinate Angeloni che sedusse o per lo meno fece impressione nell’animo di Carlo Alberto.
Noi conosciamo di questo caldissimo patriota italiano, dell’Angeloni, l’opera sua famosa stampata a Parigi nell’anno 1818 in 2 volumi in ottavo e che porta per titolo
Dell’Italia uscente il settembre 1818, la quale è il riassunto dei suoi opuscoli o ragionamenti. Quest’opera, adunque, scritto con molta diligenza e ricercatezza di stile ed ove le idee di unità, di vazionalità e d’indipendenza sono lorgaente sviluppate e fervorosamente patrocinate, produsse le prime impressioni nell’animo del giovane Carlo Alberto, delle quali parla il Cibrario».

Riprese poi la sua attività politica dirigendo e animando i movimenti settari italiani. Il 14 marzo 1823 fu arrestato ed espulso in Inghilterra. Da quell’esilio riprese la battaglia intesa a far entrare la democrazia e ad escludere il comunismo, sostenuto anche dall’amico F. Buonarroti, perché vi scorgeva «un pericolo di imbarbarimento, di soffocamento di ogni iniziativa privata e di involuzione monarchico-dittatoriale».

A Londra, l’anno stesso che vi giunse, fece parte del «Comitato inglese di soccorso agli esiliati italiani» e per la sua opera furono aiutati tanti esuli e concessa la libertà ai patrioti che in Spagna erano caduti prigionieri. Continuò a lottare per il suo ideale, mettendo a fuoco «questa mania che abbiamo addosso di libertà universale».
Però «a causa del suo carattere autoritario», si avviò verso il declino. Insofferente di ogni critica, divenne sempre più virulento, irascibile e puntiglioso. Morì povero ed esacerbato il 5 febbraio 1842.

La sua ultima pubblicazione è intitolata: «Alla valente ed animosa gioventù d’Italia. Esortazioni patrie così in prosa come in verso, Londra 1837». In essa tratta svariati argomenti, tra cui, anche quello biblico, superiore alle sue capacità. Fu relativista in filosofia, esaltatore della forza in morale, teosofo in religione.

A prescindere dei difetti temperamentali e delle opinioni dottrinali, che debbono essere sempre inquadrati e spiegati nel proprio contesto storico, l’Angeloni è uno spirito grande che appartiene, non solo a Frosinone, ma all’Italia, all’Europa e al mondo come uno dei geni e apostoli di civile convivenza, di libertà umana e di indipendenza nazionale. «Comunque egli fosse, ebbe grande carattere e non comune ingegno, e senza di lui ed altri della sua tempra... chi sa per quanto ancora gli Italiani putrirebbero nel lezzo del servaggio più vile».

Trattare del Risorgimento d’Italia e trascurare l’Angeloni significherebbe fare un grave torto alla storia.

"LA RESTAURAZIONE POST-NAPOLEONICA"

Per la storia di quest’epoca non abbiamo bisogno, come si è fatto finora, di richiamare le linee generali di fondo, perché esse fanno parte della nostra vita e sono note a tutti.

Siamo giunti infatti ai tempi del nostro faticoso risorgimento. La storia d’Italia ognuno la porta scritta nel cuore.

Papa Pio VIICi limitiamo pertanto ad evidenziare qualche dato, per meglio comprendere la vita frusinate nel periodo della restaurazione e la genesi dell’anima risorgimentale della nostra città. La nuova ristrutturazione dello Stato Pontificio è data dal Motu proprio del 6 luglio 1816, col quale Pio VII, -(Immagine a destra)- dopo l’accurato studio dei suoi collaboratori, cercò di aggiornare l’organizzazione dello stato alle nuove esigenze emerse dalla rivoluzione francese e dall’impero napoleonico: «Volle arminizzare i vecchi sistemi con le nuove necessità».

Una delle esigenze, per es., era quella di estendere la scuola pubblica elementare anche alle ragazze e renderla nello stesso tempo dipendente dall’amministrazione comunale e non già dagli enti o da persone ecclesiastiche. Pio VII volle anche questo. Più avanti parleremo della scuola elementare femminile a Frosinone. Ma qui vogliamo sottolineare questo tocco di declericalizzazione.
Il Consiglio Comunale lo sottolineò, non solo all’atto in cui dette vita giuridica alla scuola, ossia il 28 dicembre 1815, ma anche nello statuto che elaborò quando essa iniziò a funzionare regolarmente.
Ecco qualche articolo: «La nomina delle maestre dipenderà dal Pubblico Consiglio, il quale ne avrà il diritto esclusivo».
«La Comune in questo momento non conosce nè più nè meno di tre maestre...».
«Per Direttrice dell’Istituto la Comune ora ha riconosciuto e riconosce la sig.ra Teresa Spinelli, Donna di conosciuta abilità, onestà e zelo...».
«Il primo ed essenziale dovere delle Maestre è di corrispondere con tutta esattezza e zelo allo scopo della Comune...».

Abbiamo voluto sottolineare questo carattere di declericalizzazione nell’opera fondamentale della scuola e dell’educazione, perseguita da Pio VII, per correggere certe opinioni storicamente inesatte, che fanno di questo sovrano un individuo retrogrado e del successore Leone XII un monarca aperto, mentre fu proprio questo secondo sovrano che rimise la scuola nelle mani dei vescovi con gli statuti che seguirono la sua bolla «Quod divina sapientia» del 28 agosto 1824. Sottolineato questo aspetto aperturistico dell’opera di Pio VII, tracciamo un breve quadro della nuova struttura data all’amministrazione pubblica.

"LE NUOVE STRUTTURE AMMINISTRATIVE"

Lo Stato Pontificio fu diviso prima in 19 e poi in 21 province, compresa la delegazione di Benevento. Le province si chiamavano Legazioni se avevano a capo un cardinale, Delegazione se erano dirette da prelati inferiori. La provincia di Campagna e Marittima non si chiamò più governatorato come era avvenuto dal periodo dell’umanesimo in poi, ma Delegazione. Le province furono suddivise in Distretti e questi in Governi. I Governi poi abbracciavano uno o più comuni.

La Delegazione di Frosinone fu divisa in due distretti. Il primo abbracciava i governi di Alatri, Collepardo e Fumone; di Anagni con Sgurgola e Acuto; di Ceccano con Falvaterra, Pofi e Strangolagalli; di Ferentino con Morolo e Supino; di Guarcino con Anticoli (Fiuggi), Filettino, Trivigliano, Torre, Vico e Trevi; di Montesangiovanni con Bauco (Boville); di Paliano con Piglio e Serrone; di Piperno (Priverno) con Roccasecca, Maenza, Prossedi, Pisterzo e Roccagorga; di Vallecorsa con Castro dei Volsci e S. Lorenzo (Amaseno); e quello di Veroli.

Sonnino aveva un Commissario straordinario.

Il secondo distretto della delegazione di Frosinone era costituito da Pontecorvo, che allora trovatasi dentro i confini del regno di Napoli.

Frosinone fu dunque sede insieme dell’amministrazione della Delegazione, di quella Distrettuale, di quella municipale.
Una città di impiegati! Il capo dell’amministrazione comunale ora non si chiama più capo-priore, ma Gonfaloniere.
Infatti allora si usò la seguente nomenclatura: Gonfaloniere per indicare il capo di una città, Priore per indicare il capo dei comuni degli altri paesi, Sindaco per indicare il capo dell’amministrazione di una frazione, che chiamavasi appodiato.

Il primo delegato della provincia di Campagna e Marittima, dopo la caduta di Napoleone, fu Mons. Fabrizio Turiozzi da Toscanella, quello stesso che vi copriva la carica di governatore all’atto dell’annessione napoleonica degli stati della Chiesa all’impero di Francia.

Il primo Gonfaloniere di Frosinone fu Domenico Antonio Guglielmi e l’ultimo, che era capo del comune al momento della presa di Roma del 20 settembre 1870, l’omonimo Domenico Antonio Guglielmi discendente dal primo.

"LA NUOVA PIANTA COMUNALE"

Mentre dal Medioevo in poi il territorio comunale di Frosinone era Diviso in quattro contrade, all’inizio del’1800 lo troviamo diviso in sei sezioni.
Sono le seguenti:

Frosinone centro

Confina con la 6° sezione comunale Borgo S. Salvatore, mediante la Via Napoli, e poi col Territorio di Torrice, mediante il Fosso della Mola di Torrice e il Fosso dei Mincioni, con quello di Veroli e di Castel Massimo fino a poco dopo il fiume Cosa, col territorio di Piano d’Alatri, con la terza sezione comunale Madonna della Neve, mediante una strada che, partendo dal Ponte della Fontana, corre col nome di strada di Alatri su l’attuale Via Mària e finalmente con la 2° e 4° sezione, Cerreto e Valle Fioretta, mediante la strada che parte dal Ponte della Fontana, corre lungo l’attuale Via Marittima e termina presso la Mola Vecchia al Ponte dell’attuale Via Mazzini.

Sezione Cerreto

Il nome risale al Medioevo e si trova in molti altri paesi.
Esso, al dire del Du Cange, significa selva di faggi o di querce, dal latino quercus.

Questa sezione confina col territorio di Tecchiena che costituisce la 2° sezione di Alatri, con la Via Casilina Nord, che allora si chiamava strada romana, con la Via Marittima e con la 4° sezione comunale Valle Fioretta, all’altezza della Via Selva dei Muli.

In questa sezione è da notare che il Fosso del Rio è chiamato Fosso Madonna della Neve. E’ anche chiamata Via Madonna della Neve la strada che oggi si chiama Vado del Tufo.

Sezione Madonna della Neve

Pianta ottocentesca frusinate - Archivio di Stato di FrosinoneConfina con i sobborghi della 1° sezione Centro, mediante la strada di cui sopra, col territorio della 2° sezione Cerreto, mediante la Via Casilina fino all’attuale piazzale De Matthaeis.

Sezione Selva dei Muli

Confina con la 2° sezione Comunale Cerreto, col territorio di Ferentino, con un pò del territorio di Ceccano, con quello di Pratica e di Supino, sezione Colli, e con la 5° sezione comunale Vallefretta o Vallefioretta. Questa sezione e intersecata da diverse strade: Polledrara (primo tronco), delle Salce, delli Colli, delle Cinque Vie, della Molla d’Atri, della Molla, delli Vadi Giordani, dei Ponticelli, ecc.
Vi sono i Fossi della Molla, della Fontana, delle Pantane.

Sezione Valle Fioretta

Confina con la sezione Cerreto, mediante la Via del Campo, con quella di Centro, mediante la Via Pareti, oggi di Via Mola Vecchia, con la 6° sezione comunale Borgo S. Salvatore, mediante il fiume Cosa dal Ponte delle Fontanelle in giù, col territorio di Ceccano e con la sezione Selva dei Muli.

Vi si trovano, oltre Valle Fioretta, Valle Piana, Fontana Donica (Unica), Colle del Vescovo, Faito, Fosso delle Ficulle, Vado S. Giuliano presso la sezione Borgo S. Salvatore.

Sezione Borgo S. Salvatore

Confina con la 1° sezione mediante Via Napoli, col territorio di Torrice, Arnara, Ceccano e con la precedente sezione comunale di Valle Fioretta. Vi si trovano i Fossi dei Vignali, di Pescara, di Capobarile, Adirano e la via che va a Ceccano.

Del territorio comunale così diviso il comune non possedeva nulla.

Era proprietà dei privati. Così è dichiarato dal gonfaloniere Nicola Iannini in una relazione del 28 aprile 1821, inviata alla congregazione del Buon Governo: «Nè alcun fondo urbano, nè rendite miste, né alcun fondo rustico».

Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo

(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni)
- "Editrice Frusinate 1975"

Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.

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