"LA FATICOSA RIPRESA DEL CONVENTO DELLA MADONNA DELLA NEVE"
In una relazione ufficiale del 1847, inviata alla Congregazione dei VV. e RR., dal Vicario Foraneo del tempo Mons. Luigi Scapaticci, nei riguardi degli Agostiniani Scalzi della Madonna della Neve si dice: «poco o nulla sono utili alla città dove distano circa due miglia..., per quei pochi contadini che sono nella adiacente campagna arrecano qualche vantaggio per l’amministrazione del sagramento della penitenza».
Non si parla, come avveniva prima della rivoluzione francese, di chiesa «famosissima per i popoli vicini», «celebre nella storia della Provincia di Campagna per la devozione e continuo concorso dei fedeli». Ora viene presentata come una chiesa lontana dall’abitato e quasi solitaria nella campagna.
Che cosa fecero i religiosi per rialzare il tono del santuario dopo il grande ciclone della rivoluzione francese e della soppressione napoleonica?
Non è facile dare una risposta breve ed esauriente. Quindi preferiamo evidenziare alcune circostanze. Anzitutto dovettero applicarsi alla riparazione materiale dell’intero complesso.
Da una nota incompleta di spese che risale a quell’epoca si rileva che i religiosi dovettero rifare tutto, dagli infissi all’arredamento della chiesa e del convento.
Sui registri giunti fino a noi si leggono acquisti di messali, pianete, ampolline, ostensori per la chiesa, acconti e saldi a muratori, falegnami, pittore, stagnaro, ecc.
Dopo i primi e affrettati restauri troviamo che dal 25 aprile al 3 giugno 1838 si dovette rifare la volta della chiesa. Bisogna però sottolineare, come diremo meglio in seguito, che il popolo venne in aiuto ai poveri frati.
Essi nei primi anni erano in numero di tre o quattro. Tuttavia non solo si mettevano a disposizione dei pochi contadini disseminati nella zona, ma si prestavano in altri servizi in città fino ad essere talvolta criticati, e per l’assistenza ai moribondi, come ci dicono i registri dei defunti delle parrocchie. «Sono assidui nell’ascoltare le confessioni e si prestano in aiuto dei Parrochi specialmente nelle limitrofe campagne e nel tempo pasquale e allorché sono chiamati in soccorso dei malati».
Nell’opera di recupero degli ex beni conventuali, i religiosi furono colpiti da calunnie. Ne ricordiamo due.
Il P. Raffaele Giustini da S. Margherita, di cui dovremo parlare, fu per la prima volta superiore del convento dall’ottobre 1823 all’agosto 1841. Era giovane e quindi dinamico. Questi fu calunniato presso la Congr. dei VV. e RR. con l’addebito di colpe inesistenti e con insinuazioni maligne.
Nella lettera anonima inviata al Papa si diceva che era tutta la città a fare ricorso, mentre risultò che era stato «un solo individuo ben noto», il quale avendo delle liti in pendenza con i frati per la questione dei beni ex conventuali, scelse la via allora comune della calunnia per toglierseli dai piedi.
La congregazione chiese informazioni al procuratore generale dell’Ordine che era in quel tempo il siciliano P. Giambattista Signorelli. Questi fortunatamente conosceva le cose, l’ambiente, e le persone. Richiese pertanto le informazioni del Vescovo di Veroli Mons. Cipriani, del Vicario speciale di Frosinone arcidiacono Antonio Cerroni, dei parroci Gaspari, Sellari, e Marchetti, del gonfaloniere della città Giambattista Tagnani e del delegato apostolico della provincia Mons. Provenzali.
In tal modo furono smontate tutte le calunnie. L’autore della lettera anonima cadde perfino nel ridicolo quando affermava che il P. Raffaele era stato soldato di Napoleone. Infatti Napoleone era finito con la sconfitta di Lipsia del 19 novembre 1813, quando il P. Raffaele aveva solo 10 anni e 11 mesi, essendo nato il 31 dicembre 1802.
Il secondo episodio calunnioso colpì nominalmente un solo individuo, ma in effetti stroncò il tentativo di riportare la piccola comunità della Madonna della Neve al ruolo di centro di studi per la provincia romana dei religiosi.
Con l’inizio dell’anno scolastico 1834 - 1835 era stato aperto nel convento un piccolo studentato filosofico. Si trattava di tre chierici e un sacerdote. Il loro insegnante, che allora si chiamava lettore, fu un certo P. Tommaso da S. Francesco, genovese, Aveva appena 24 anni. Fu quindi trovata presto la calunnia. Egli, fu scritto, frequentava la casa della sig.ra Teresa Tagnani che aveva sempre lasciato a desiderare.
Assunte le informazioni dal procuratore generale dei religiosi, come nel caso precedente, risultò che si trattava di una maligna insinuazione.
I superiori avrebbero voluto che il P. Tommaso restasse al suo posto per non dare ansa che venissero ritenute per vere le voci calunniose, ma il frate volle lasciare il posto e ritornare alla sua patria.
Questo fatto purtroppo arrestò il cammino che aveva intrapreso la comunità. Lo studentato fu soppresso. Le autorità locali se ne dispiacquero. Dal seguente brano di deposizione scritta dal parroco di S. Benedetto, O. Angelo Sellari, si può intuire quanto fossero stati contenti dell’iniziativa della scuola.
«Mi è rincresciuto moltissimo l’aver saputo che la maligna gelosia di qualcuno insorga di nuovo per turbare la tranquillità di questi bravi Padri... dopoché per renderlo osservante con sforzo ancora della loro Congregazione si mise costi uno studio... Ella non creda a ciarle... e quel religioso di cui mi scrive dopo aver devotamente celebrato la novella Messa in quel santuario, dove molto popolo con piacere accorse, e dove si frequentavano le sagre funzioni non ha dato mai luogo che a me pervenissero reclami contro la di lui condotta essendo che nelle sue lezioni mostri un gran talento, e promette un ottima riuscita. Lo intaccarlo unitamente alla primaria famiglia di Frosinone questa è temerarietà».
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
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