Altro e più significativo episodio nella lotta contro il disordine e la disgregazione conseguenti allo scisma, ai signorotti e alle compagnie di ventura, è l’impiccagione di Antonio Pontedera avvenuta a Frosinone nel 1436.
Siamo nel momento in cui il Vitelleschi, per mandato di Eugenio IV, operava per il recupero dei territori della Chiesa. Questo cardinale è vero, «non era l’uomo destinato a trattare con gli avversari con quella misura che si poteva desiderare da un governo ecclesiastico». Però bisogna anche ammettere che quello era un periodo di esasperata emergenza. Il Vitelleschi si trovò in una vera sabba di forze contrastanti che martoriavano le popolazioni anonime.
Tra le protagoniste di queste forze dilaniatrici, come abbiamo già ricordato, v’erano le compagnie di ventura.
Il nostro Antonio da Pontedera era capitano di una di esse. La sua però era di serie B.
Egli era conte palatino. Il 25 giugno 1425 si era assoldato sotto Filippo Maria Visconti, impegnato a dilatare il suo ducato nella Romagna.
Nel giugno 1433 lasciò il Visconti e passò nel patrimonio della Chiesa per dare man forte a Nicolò Fortebraccio, comandante di una compagnia di serie A.
I capitani di ventura avevano per prassi di cambiare i padroni con la massima facilità. Quindi il nostro Antonio, nel dicembre 1433, lo troviamo a combattere nell’esercito pontificio con 400 uomini contro il Fortebraccio. Ma ecco un altro volta faccia. Nel luglio 1434 quando Eugenio fu costretto ad abbandonare Roma e rifugiarsi a Firenze, egli passò nel campo dei ribelli.
Si alleò in quella circostanza con Alto e Grato di Valmontone, sposando anche la figlia di quest’ultimo.
I due Conti di Valmontone sono quelli che nel 1437 occuparono mezzo territorio di Selvamolle, ossia di Selva dei Muli di Cui abbiamo parlato precedentemente. Con tale alleanza si dette a fare la guerriglia contro Roma fino alla primavera del 1435.
Nel maggio di quell’anno accettò la tregua propostagli dal Vitelleschi ed allora passò a militare nell’esercito angioino guidato da Iacopo Caldora.
Dopo qualche tempo lasciò quest’altro padrone e si pose a servizio degli aragonesi e quindi contro i pontifici.
E’ su questo fronte che si chiude la sua avventura di capitano di ventura.
Infatti nella battaglia di Piperno (Priverno), del 15 o 16 maggio 1436, i soldati del Vitelleschi lo presero prigioniero insieme ai suoi nipoti Giacomo e Giovanni di Mariano da Pontedera. Tre giorni dopo fu impiccato ad un albero. In quale luogo? E’ logico pensare che ciò sia avvenuto nello stesso territorio di Priverno.
Ma il Moroni, riportando il De Matthaeis, scrive: «(Il Vitelleschi) lo fece appiccare a Frosinone ad un albero d’olivo».
E l’Alonzi: «...Antonio Pontedera, ghibellino e partigiano dei Colonna... fatto impiccare a un ulivo (1435) sul colle frusinate».
Forse perché capoluogo delle due province di Campagna e Marittima? In quale punto? Non lo sappiamo. Se però l’uso di eseguire le pene capitali nel secolo XV era quello che troviamo nel ‘500 ai tempi di Sisto V, allora possiamo affermare che l’esecuzione ebbe luogo dove ora sorge il santuario della Madonna della Neve.
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.