Dal sintetico prospetto del bilancio comunale ora osservato, - (argomento precedente) - si comprendera che le sorgenti d'entrata per il comune erano costituite dalle tasse e dagli appalti.
Ci troviamo di fronte ad una economia chiusa dentro le dimensioni locali. Questa situazione ci fa comprendere il perchè della povertà di quei tempi.
In quanto ai servizi pubblici bisogna dire che, come oggi, appunto perchè pubblici, si tende a nazionalizzarli, allora venivano comunizzati e quindi ne disponeva l’autorità comunale.
Però i servizi pubblici di quel tempo non potevano essere quelli della nostra società industrializzata, ma quelli di una povera collettività agricolo - artigianale. Erano servizi pubblici oltre che la distribuzione della posta, che era dello Stato, come oggi, anche gli esercizi di interesse collettivo, come le pizzicherie la molitura dei grani, i forni pubblici, granai, ecc.
Un conflitto... sindacale del postino
Prima del 1645 a Frosinone si inviava e si riceveva la corrispondenza da Roma una sola volta la settimana per mezzo di un corriere che faceva servizio di andata e ritorno tra Roma e Benevento. Il corriere prelevava e consegnava tutto presso l’osteria del passo (poi De Matthaeis). In quell’anno il Cardinale Litta istitui due corrieri alla settimana tra Roma e Frosinone. Questi prendevano un bajocco per le lettere semplici e due per le doppie «con le coperte» (con buste). Il distributore poi prendeva qualcosa in più. Quando però fu istituto l’ufficio del postiere, questi di iniziativa propria, prendeva due bajocchi per le semplici e quattro per le doppie.
Contro quest’abuso il Comune fece ricorso alla congregazione del Buon Governo, da cui dipendeva il postino.
- (La foto è un omaggio al nostro postino, icona rappresentativa di tutto il quartiere) -
Poiché precedentemente il Card. Camerlengo aveva fissato la tariffa di un bajocco per le lettere semplici e due per le doppie, e, poiché le congregazioni del Sollievo e del Buon Governo erano già intervenute in questo senso, la prima per Anagni l’altra per Ferentino, l’interpellata congregazione il 17 dicembre 1672 rispose che bisognava stare alle tariffe stabilite dal Buon Governo. In questo modo l’autunno caldo del «postiere» fu raggelato dalla tramontana venuta da Roma. Era generale delle poste il marchese Patrizi.
Le mole
Queste, d’antica data, venivano messe in appalto. Da mappe settecentesche del territorio frusinate sappiamo che lungo il fiume Cosa furono costruite diverse mole. Oggi però la toponomastica ricorda solo la mola vecchia, la mola nuova e la moletta.
Delle prime due le località che ancora ne portano il nome ne indicano anche l’ubicazione. Della moletta invece oggi se ne conserva il ricordo solo dagli anziani. Essa stava presso il ponte della Fontana.
Tutte tre queste mole il 17 luglio 1629, con chirografo di Urbano VIII, vennero concesse alla famiglia Filonardi.
La mola vecchia posta allora al confine del Borgo S. Salvatore aveva «tre macine che si fanno agire coll’acqua del fiume Cosa, derivata dal canale contiguo».
La mola nuova aveva due macine e veniva azionata dall’acqua del fiume Cosa, mentre la moletta veniva azionata «con poc’acqua sorgiva della fontana della Madonna di Loreto, e dalla Botte della Madonna della Neve per cui attualmente è soppressa» - (Nella Foto - Vincenzo Papetti "il molinaro torna dal lavoro" è stato il gestore della "Mola la Botte" - Mulino in funzione fino alla seconda guerra mondiale).
Queste indicazioni ci vengono dall’ingegnere pontificio Carlo Donati che ne fece la descrizione il 18 - 19 gennaio 1821, quando le dette mole furono concesse in appalto a Filippo Renna.
L'osteria del passo
Il piazzale G. De Matthaeis, che popolarmente fino a pochi anni fa si chiamava osteria De Matthaeis, nel ‘600 si chiamava osteria ad passo. Il perché di questa nomenclatura è intuitivo, Perché era un punto centrale di passaggio.
La gestione dell’osteria era data in appalto dal comune.
Nel 1630 la prese in affitto Andrea D’Agata dai Conservatori e dal Sindaco per 150 scudi annui, più altri 40 per la pigione della casa. Però gli affari gli andarono male. Tutti ricordano la storica peste di quell’anno, descritta dal Manzoni nel suo romanzo. In quella circostanza il governatore della provincia di Campagna, per timore che il contagio entrasse in città, proibì l’accesso ai forestieri, sicché il D’Agata non poté incassare e pagare i canoni. La proibizione del governatore si era estesa anche alla celebrazione delle fiere.
Naturalmente da questo fatto ne venne un dissesto per tutti. La stessa amministrazione comunale dovette fare ricorso a interventi straordinari. Troviamo infatti che il 27 agosto 1631 chiese alla congregazione del Buon Governo di poter effettuare tra la cittadinanza una colletta speciale e il 20 settembre 1631 di potersi servire di 260 scudi dell’Abbondanza per pagare i pesi camerali, dietro l’obbligo di rimetterli dentro tre mesi.
L’osteria, di cui sopra, nel 1641 l’aveva Marino Sampaolo, nel 1655 Giacomo Bracaglia e nel 1688 un certo Ormisda Marra che, poveretto, non potendo pagare il canone d’affitto, ne morì di crepacuore, mentre i suoi beni furono messi all’asta il 1° dicembre 1688 e il 31 gennaio 1689. Gli successe Domenico Bracaglia con l’obbligo di pagare scudi 50.
Appalto delle nevi
Il lettore moderno, aduso ai gelati e ai frigoriferi, stenterà a capire questo tipo di appalto. Si tratta del sistema di quei tempi per provvedere alle bevande fresche nell’estate.
C’erano degli individui i quali dopo le nevicate invernali ammassavano le nevi in zone adatte e le coprivano con foglie secche o in altro modo per farle congelare e venderle poi nei mesi estivi e farne bevande fresche, L’impresa era data in appalto dalle autorità. (Fossa da Neve - Foto)
Si trattava di un’industria che rendeva molto bene, come può comprendersi dall’episodio del concittadino D. Carlo Campagiorni.
Questi, essendo sacerdote, non poteva prenderla direttamente ed allora fece comparire il nome del nipote.
Si mise d’accordo col Baldinotti, che aveva l’appalto delle nevi in Roma e, facendo includere il distretto di Frosinone in quello della capitale, se ne prese il subaffitto per un rubbio di grano annuo.
La zona frusinate delle nevi includeva le montagne di Veroli e arrivava al confine del regno di Napoli. Egli ne ebbe dei guadagni, mentre il comune, che precedentemente l’aveva gestito per utilità pubblica, non era riuscito a ricavarci utile.
Ne venne fuori un ricorso alla congregazione del Buon Governo ma il Campagiorni fu trovato con le carte in regola, perché il 21 agosto 1666 mostrò il bando col quale era stato nominato appaltatore delle nevi.
(Sezione schematica di un nevaio)
Vogliamo ancora aggiungere, per completare la notizia, che il nominato appaltatore delle nevi di Roma era il fiorentino marchese Zenobio Baldinotti, che costruì nel 1660 a Roccapriora la Chiesetta della Madonna della Neve, che allora fu affidata alla custodia di un eremita e che ora è la casa di noviziato dei Pallottini.
Scorcio dedicato dalla Commissione Culturale della parrocchia alla chiesa della Madonna della Neve di Roccapriora provincia di Roma.
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
Per le citazioni storiche, la bibliografia ed altro, si rimanda ad una consultazione diretta dell'opera.