A documentazione dell’attività dei papi per raffrenare la criminalità non solo generale ma anche particolare citiamo un
altro documento. Nell’agosto 1336 Benedetto XII scrive a Ruggero de Vintron, canonico di Rodez rettore di Campagna e Marittima, perché faccia giustizia contro Giovanni, figlio di Nicola Capocci, milite di Frosinone.
I militi, come il lettore ricorderà, costituivano la nobiltà frusinate. La famiglia Capocci era stata al timone dell’amministrazione comunale e un membro di essi, Giovanni, era stato assassinato dallo Scotti, emissario di Adinolfo da Anagni. Qui ci troviamo di fronte a un omonimo e forse dinanzi a qualche suo nipote o pronipote. Questo Giovanni era stato colpito dal Papa Giovanni XXII dalla scomunica e dall’esproprio dei suoi beni, perché il fratello Francesco aveva commesso un delitto. Nel documento che abbiamo sott’occhio non è specificato quale esso sia.
Comunque, da quanto esposto è facile rilevare come il caos morale che allora regnava negli stati della Chiesa a causa della dimora dei papi ad Avignone abbia avuto la sua ripercussione anche a Frosinone, nonostante la presenza del rettore della provincia.
"APPORTO DI UN FRUSINATE CONTRO LA DELINQUENZA"
Per guardare più da vicino questa triste situazione rileggiamo il brano del Caetani:
«Nel mese di marzo o di aprile del 1340 i confederati (di cui era il capo Benedetto Caetani) di notte tempo penetrarono in Anagni, presero d’assalto il castello ove dimorava il vicario pontificio e che era custodito dai soldati di re Roberto, ferirono Benincasa dei Benincasa cittadino anagnino, cacciarono gli ufficiali pontifici, ruppero la porta della cattedrale... Il rettore cacciato da Anagni si ritirò a Frosinone, ove la forte rocca gli presentava più sicura dimora ed ivi sedente in tribunale, il 6 maggio
fece diffidare Benedetto e i suoi complici perché comparissero in giudizio». In questa pagina vediamo Frosinone come centro per il ristabilimento della giustizia e dell’ordine.
Nella lettera seguente invece, che è del 13 febbraio 1355, non vediamo soltanto Frosinone, ma un frusinate al centro dello spegnimento di quegli incendi civili e morali.
La lettera è del senatore di Roma. I baroni di Campagna esercitavano ogni specie di angheria. Gli anagnini allora si rivolsero per aiuto al detto senatore. Questi si indirizza al frusinate Angelo Zaccheo e gli scrive così:
«Fra Giovanni de Luca superiore e maestro generale dell’ospedale di S. Spirito in Sassia dell’Urbe, rettore generale delle province di Campagna e Marittima... salute ad Angelo Zaccheo da Frosinone nostro nunzio giurato».
«Si devono castigare coloro che hanno disprezzato il rispetto verso la S. Madre Chiesa... Perciò affidiamo alla tua discrezione e ti comandiamo, che, non appena riceverai queste lettere, a nome nostro procuri dai sottonominati e singoli baroni, università e fedeli tutti della Chiesa, che nella prima domenica di marzo prossimo, vengano a Ferentino, muniti di armi, cavalli, ferramenti, col gnasco e con quanto riguarda "ad grassiam". Giacché abbiamo disposto che a Ferentino si raccolga contro i nemici e i ribelli il felice esercito generale della Chiesa. Da Ferentino 13 febbraio, ottava indizione (1355)». La Chiesa allora considerava come suo compito naturale la custodia dell’ordine giuridico e sociale, perché bene primario dei popoli, e quindi il turbamento di quest’ordine era un reato contro la Chiesa stessa.
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
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