Sfogliando e studiando attentamente i documenti citati in questo capitolo e allargando la ricerca ad altre fonti, si potrebbe compilare un nutrito elenco di frusinati del secolo XIII.
Data la limitatezza di questi lineamenti, dobbiamo contentarci di un piccolo abbozzo.
Anzitutto ricordiamo quelli già nominati.
1) Ogerio Di Belizo. E' menzionato nella locazione del 5 settembre 1207. In qualità di procuratore dei frusinati il 7 ottobre 1212 firma l'accordo con gli alatresi riguardante Campo Cerreto. Era probabilmente anche sindaco di Frosinone.
2) Ianne De Judice Balivo del luogo. Questi, insieme ad Oddone il Bello, investe Pietro Apalachi del feudo di Aldana nel 1235.
3) Oddone il Bello, balivo anch'egli, che insieme al precedente investe il detto Apalachi.
4) Pietro Rossi, balivo, che dà l'atra investitura il 17 febbraio 1236.
5) Il nobile Tommaso che, in qualità di balivo pontificio, il 31 ottobre 1256 investe Bartolomeo Scrinario frusinate, del casaleno già posseduto dal sac. Gregorio De Marco.
Dei nominati quattro balivi, non possiamo però affermare con certezza che siano frusinati. I seguenti sono indubbiamente di Frosinone.
6) Pietro Apalachi. Questo frusinate era impiegato camerale e cioè esattore dei canoni dovuti alla Camera Apostolica. Inoltre faceva parte della famiglia pontificia. Il suo nome è di origine longobarda e richiama il duca di Trento Alachi di cui parla Paolo Diacono Varnefrido.
Egli fu uno dei feudatari e condomini di Frosinone. Infatti i citati Ianne de Judice e Oddone il Bello, in qualità di balivi, gli dànno l’investitura della tenuta che una volta era stata di Aldana moglie del frusinate Giacomo Mancini. Questa prima investitura è del 4 maggio 1235 ma troviamo che il 6 aprile 1255 Alessandro IV gliene conferma il possesso.
Il suo nome (ora Apalochi e ora Apalachi) ritorna in cinque documenti di Alessandro IV. In una lettera scrittagli da Anagni il 13 novembre 1256 il Papa gli conferma la concessione «di tutto quello che una volta aveva posseduto a Frosinone il giudice Paolo da Spoleto... sotto l’annuo censo di due libbre di cera» e che gli era stata «consegnata precedentemente dal balivo pontificio Tommaso, della curia di Frosinone». La concessione veniva confermata «tenendo presente il devoto, lungo e fedele servizio» reso dall’Apalachi. Ma già un anno avanti, il 6 aprile 1255, gli era stata concessa in perpetuo la tenuta di Egizio e Aldana, insieme al feudo già posseduto dal fu Benedetto Gattuciaro.
Però di tutte queste infeudazioni la più importante è quella del 17 febbraio 1236 riportata nell’atto di conferma del 6 aprile 1255. il documento ci sembra un flash su Frosinone del ‘200.
Ecco una breve sintesi. «In presenza del notaio pubblico del Sacro Impero, Ambrogio di Campagna e dei testi Maestro Sergio di Tebaldo, Roffredo di Amato Maccarone, Giovanni Saraceni, Benedetto Capalucca e molti altri, in pubblico atto solenne presso la Chiesa di S. Martino in Frosinone, Pietro Rosi balivo della curia locale mostra le lettere inviategli dal rettore di Frosinone, Stefano cappellano del Papa, col mandato di investire Pietro della Camera, famigliare del Papa, di tutto l’intero feudo già posseduto dal Benedetto Gattuciaro.
«Perciò il detto balivo lo investi di tutto il feudo, facendogli prendere possesso materiale della casa che era stata di Benedetto e vi introdusse la moglie .
«La presa di possesso però, fu compiuta dinanzi ad altri testimoni chiamati a questo scopo e cioè D. Giovanni Abate di S. Martino, Amato del Maestro Sergio, Tebaldo del Signore Roffredo, Benedetto Capalucca e Giovanni di Roberto».
Il lettore vede da sé quante belle informazioni sulla vita frusinate del ‘200 si contengono in questo documento.
Noi ci limitiamo a rilevare due particolari. La concessione viene eseguita «in presenza del notaio pubblico del Sacro Impero». La circostanza richiama alla mente il momento storico in cui essa ebbe luogo. Siamo al tempo in cui l’imperatore Federico II di Svevia era sulla cresta dell’onda nella lotta per la supremazia.
Siamo nell’arco di tempo che va dalla pace di S. Germano (Cassino) del 23 luglio 1230 alla seconda scomunica del 24 marzo 1239. Si vede bene che l’accordo del 1230, che prevedeva la restituzione alla Chiesa delle terre occupate nel 1229, era rimasto sulla carta e non impedì che durante la guerra con la seconda lega lombarda, conclusa con la sconfitta di questa (1237), l’imperatore dominasse nelle terre della Chiesa.
Altro particolare da sottolineare in questo documento è quello che riguarda la presa di possesso. Essa avviene «dinanzi D. Giovanni Abate di S. Martino». Dunque questa chiesa, che dette il nome al rione omonimo, era di fondazione monastica e abbaziale.
7) Bartolomeo Scrinario. Quest'altro frusinate fu archivista pontificio. I suoi primi anni li trascorse nel paese natìo, esercitando l'ufficio di notaio.
In tale veste stilò il concordato di pace tra i ferentinesi e gli alatresi stipulato il 9 aprile 1243, mettendo fine alla lotta per il castello di Tecchiena.
L'istrumento, scrive il Quattrociocchi, si trova conservato nell'archivio di , dove il Marocco ne ricavò la copia che inserì nei suoi «Annali trisultani».
Il Bartolomeo, per meriti acquisiti, fu assunto all'ufficio di scrinario, ossia di archivista della Chiesa romana e fu iscritto alla famiglia pontificia. Tali sono le qualifiche che gli vengono date dai regesti di Alessandro IV nei tre documenti che si riferiscono a lui.
Si tratta anche quì di concessioni in feudo di territori e case di proprietà della santa Sede nel circondario di Frosinone. Tali concessioni costituivano, sin dall'alto Medioevo, il sistema di stipendiare gli impiegati pubblici. Il nostro Bartolomeo il 18 agosto 1256, con lettera pontificia spedita da Anagni, ebbe aggiudicati fondi già goduti da Benedetto il Bello e Ognizio Caravita «in Castro frusinonis ei eius territorio» per un canone annuo di una libbra di cera.
Con due successive lettere del 31 ottobre e del 13 novembre 1256 gli vennero concessi la tenuta del fu Sergio di Tebaldo e il casaleno del fu sacerdote Gregorio di Marco.
I fondi goduti da Bartolomeo, dopo la sua morte, furono dati in locazione il 15 ottobre 1307 a Nicola Angelo da Vico.
8) Giovanni di Oddone, nunzio pontificio in Irlanda. Ben più chiaro lustro dette a Frosinone quest'altro suo cittadino.
Giovanni era figlio del balivo Oddone, il cui nome abbiamo già incontrato nell’infeudazione innocenziana del 5 settembre 1207 e sottolineato tra i primari dirigenti dell’amministrazione di Frosinone.
Il futuro nunzio percorse un lungo e positivo tirocinio a servizio della chiesa romana. Ciò è affermato da Alessandro IV nella lettera del 6 febbraio 1252. Era maestro, ma non sappiamo nè in quale disciplina, nè dove si sia laureato. Poiché allora il centro principale degli studi era Parigi, possiamo pensare che abbia studiato in quella Università ed abbia colà conseguito il dottorato. In tal caso è facile che abbia conosciuto e trattato il suo contemporaneo e grande ciociaro S. Tommaso d’Aquino. Però egli doveva essere di alcuni anni più anziano del dottore angelico. Le notizie che di lui ci forniscono i registri pontifici sono le seguenti:
Il 16 marzo 1249 Innocenzo IV scrive al Vescovo e arcidiacono cassellensibus ( = Cashel), perché «facciano annoverare, per autorità pontificia, tra i canonici della cattedrale di Dublino, Giovanni da Frosinone chierico e nunzio del Papa, se ciò ancora non sia stato fatto». Sappiamo anche che il vescovo e il capitolo di altra chiesa irlandese gli corrispondevano 35 marche.
«L’ordine suddetto fu senz’altro eseguito, perché i documenti successivi lo qualificano come «canonico di Dublino». La sua missione di nunzio pontificio si svolse in un momento delicato e difficile. Lo si rileva dalla corrispondenza del Papa.
L’Irlanda era ricca di glorie cristiane antiche, che si rifacevano al suo primo apostolo S. Patrizio, e di glorie più recenti legate soprattutto a S. Lorenzo, morto il 14 novembre 1181 e canonizzato da Onorio III nel 1226.
Le difficoltà però e le crisi non potranno mai mancare in un mondo dove si alternano in ogni senso i giorni e le notti.
Il nostro Giovanni pertanto, appena giunto in Irlanda, inviò alcune lettere pontefice. In questa circostanza ci furono due vescovi, che avevano ricevuto le missive tramite il presule di Limorik, i quali risposero nientemeno che con l’infliggere la scomunica al legato papale.
Il Sommo Pontefice con una lettera di pari data di quella citata (16 marzo 1249) diretta all’arcivescovo e arcidiacono di Dublino intima la revoca di quelle arbitrarie censure e l’obbligo di pubblicare la stessa revoca. Poi sottolinea che nessuna autorità può comminare pene ecclesiastiche agli inviati del papa.
Dal 1249 al 1252 abbiamo tre anni di silenzio. Il nunzio in questo tempo dovette lavorare con successo, perché vediamo che il 9 febbraio 1252 il papa lo premia per l’opera svolta. Infatti così gli scrive: «Al Maestro Giovanni di Frosinone canonico di Dublino. Avuto riguardo ai tuoi fedeli servizi con cui ti sei meritato il favore della Sede Apostolica ti accogliamo per speciale grazia nel numero dei nostri cappellani».
Però l’invidia e la gelosia lo vennero presto a colpire con una calunnia. Essa fu montata sul terreno difficile dell’impatto tra le esigenze spirituali e materiali. In quell’epoca si facevano collette sia per in liberazione della Terra Santa e sia per l’affrancamento e redenzione degli schiavi. Il nunzio raccolse 40.000 marche sterline. Egli depositò le somme presso le case religiose dei domenicani, dei cistercensi e di altri ordini. Fu quindi accusato che se ne era appropriato.
Il Papa, a cui era stato denunziato con la lettera del 6 febbraio 1252, ordina un’inchiesta e ne affida l’incarico all’arcivescovo di Tuam, unitamente a un arcidiacono di altra sede. E’ in questa lettera che il papa non solo afferma di non credere alle accuse, ma dichiara di conoscere d’antica data l’onestà e fedeltà del suo nunzio.
Naturalmente le accuse erano infondate.
Il Maestro Giovanni da Frosinone continuò ancora la sua nunziatura e troviamo che il 10 febbraio 1254 ebbe affidato dal papa il compito di concedere una chiesa d’Irlanda, cattedrale o meno, al suo suddiacono e cappellano Guidone. Il 31 luglio dello stesso anno il Papa affidò a lui e al tesoriere di Cashel il mandato di risolvere il problema sorto a causa di una duplice concessione di chiese fatta al Maestro Teodisio da Lavagna.
Che il denaro depositato dal nunzio presso le case religiose non sia stato affatto da lui toccato, lo sappiamo dalla lettera del 25 maggio 1266 con la quale Clemente IV autorizza l’arcivescovo di Armagh e il vescovo di Meath «a prelevare tutto il denaro che Giovanni da Frosinone, già nunzio in Irlanda, aveva depositato presso diversi e a consegnarlo al Maestro Sinicio».
A questo punto è necessario anche ricordare il nome di un altro frusinate.
9) Angelo da Frosinone. Di lui abbiamo poche notizie. I registri pontifici ci dicono che egli era canonico della collegiata di S. Maria. Sotto il pontificato di Urbano IV si trovava anch’egli in Irlanda. Infatti il Papa affidò a lui e all’arcivescovo di Dublino l’incarico di fare pagare a dei mercanti fiorentini alcuni crediti che questi avevano nei riguardi di alcuni dublinesi. Da questi pochi accenni si può ben comprendere che il secolo XIII fu anche per Frosinone un secolo glorioso e pieno di movimento.
Bisogna quindi ridimensionare l’affermazione dell’Alonzi: «Frosinone nasce veramente con l’età moderna».
Frosinone infatti nel 1200 è piccolo, ma vivissimo centro.
Padre Ignazio BARBAGALLO Agostiniano Scalzo
(FROSINONE - Lineamenti storici dalle origini ai nostri giorni) - "Editrice Frusinate 1975"
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